Riceviamo spesso nuove proposte, come tutte le case editrici. Ogni volta il gruppo di lavoro della narrativa si prende l’impegno di leggere il materiale ricevuto.
Secondo la pagina del blog invio proposte ci sono una serie di accortezze, di premure possiamo dire, che l’aspirante pentagoriano deve seguire. Ad esempio, fornirci tre documenti: il suo elaborato, la sinossi, le note biografiche. Ma alcuni non sanno o non interessa loro cos’è una sinossi, e ci elencano premi e citazioni d’onore ricevute in giro per l’Italia, trascurando poi di parlare brevissimamente dell’opera e del suo contenuto. Altri, è capitato, non allegano note biografiche, poiché, dicono: “… Ogni biografia è falsa”. Sarà, ma è anche vero che noi qui, in redazione, per quanto anime candide e disposte a dare ascolto a tutti, ci siam fatti la nostra bella buccia protettiva e possiamo rischiare di dare o meno credito a chi ci pare. Peraltro, sarebbe affascinante leggere una nota biografica palesemente falsa, ma stupefacente per avventure o fantasia.
L’alternativa (povera) è quella del curriculum secondo i parametri di non so quale istituto. Il curriculum lasciamolo ai professionisti. A noi basta sapere l’aspirante donde proviene, cosa gli piace, dove spera di andare.
Se non ci capiamo già dai primi contatti, è dura pensare di costruire un rapporto empatico, se non proprio di amicizia almeno di cordiale frequentazione, finalizzato a costruire un bel libro.
L’ultimo caso riguarda una persona che ci ha contattato perché ha messo per iscritto alcune sue memorie. Abbiamo letto la sua proposta, l’abbiamo vagliata con attenzione, l’abbiamo approvata (all’unanimità). Tutto con tempi tranquilli, normali, giusti per conciliare la passione editoriale con la vita professionale quotidiana di tutte noi: un paio di mesi, non di più.
Terminato questo lavoro, veniamo a sapere che quella persona è stata contattata da un’altra editrice che l’avrebbe incoraggiato e convinto. Ne siamo rimasti sorpresi e delusi: stavamo parlando, eravamo, come dire, in trattativa. Certo ci vuole un tempo per leggere e decidere, forse due mesi sono troppi per quella persona. Ma ci si poteva scrivere: “Ohilà! Voi di Pentagora! Se non vi decidete entro tot mi rivolgo ad altri!”. E l’altra editrice come avrà potuto sapere che l’aspirante scrittore aveva un ‘manoscritto nel cassetto’? Microspie? Lettura dei fondi di caffè? Non lo sapremo mai.
Ci è dispiaciuto, certo. Ma tutto sommato è andata bene perché è meglio conoscerle, le persone, prima di accoglierle nella nostra comunità. Conoscerle e… riconoscerle: perché il testo più bello, se chi l’ha scritto tiene i piedi in due staffe, per noi non è più così bello. Anzi!
Giugno 4, 2021 il 10:04 am
Mi piace tutto quel che ho letto. Gli editori quelli che scelgono cosa stampare, prima di pensare quanto venderanno, son rari, lì apprezzo anche perché fan buon uso della carta
Giugno 4, 2021 il 10:39 am
Il commento di Maddalena sulla scelta e il buon uso della carta mi fa pensare alle difficoltà che ogni giorno affrontiamo. E’ una strana officina, quella letteraria. In Italia, prossima a sfornare quasi 80.000 pezzi l’anno, con una quota impressionante di autopubblicazioni o pubblicazioni (in chiaro o nei fatti) a pagamento. Da una parte, dilettanti che si mandano o sono mandati allo sbaraglio; dall’altra, grandi gruppi editoriali che pompano libri a volte banali o poco leggibili, a volte malcurati. Intanto, le materie prime sono aumentate del 30%, le librerie chiudono (ma questo, qualche volta, per chi è piccolo non fa la differenza…) o stingono i denti sino a farsi male, la distribuzione trattiene il 54 al 62% del costo di copertina, le lettrici e i lettori diminuiscono: aumenta solo la loro età media; nel palmares dei grandi premi letterari si alternano gli stessi marchi (meglio: gruppi); sono i parchi che qualche volta libri producono in India o Croazia, e le cui tirature per gran parte sono programmate per il macero; e poi… e poi i lettori e le lettrici che se comprano online non si rivolgono alle stesse case editrici (è solo così che possiamo sopravvivere!) ma per il 90% da Amazon, salvo poi lamentarci tutti che l’editoria di qualità, soffre, deperisce, muore.
Con queste premesse, come si può far vivere la piccola editoria di qualità?
Se aveste suggerimenti, per favore, li condividereste?
Giugno 4, 2021 il 12:37 pm
Probabilmente quella persona avrà inviato il suo scritto contemporaneamente a molte case editrici, per aumentare le possibilità di pubblicazione, senza riflettere (oppure fregandosene) sul fatto che non sia un algoritmo a decidere la risposta ma persone che, pagate o meno non importa, si prendono la briga di leggere, ponderare, valutare…
Intanto ormai tutto è dovuto.
Giugno 5, 2021 il 9:16 pm
Non è facile non compiacersi di ciò che si scrive. Da scrivente, quale mi ritengo, ho spesso avuto consensi inattesi e se qualcosa mi piace e desidero pubblicarla, non aspetto che sia l’editore a dirmi se ne vale la pena. Sono così convinta che potrebbe piacere a un numero ristretto di amici e conoscenti , che cerco l’editore che mi pubblica a costi adeguati. A volte sono stata scelta in certi concorsi, ma se dovessi riflettere potrei pensare “ma quanti eravamo?” Dieci, venti, oppure due o tre? Non ho mai cercato fama e questo mi solleva da certe aspettative. Non sarei capace di fare l’editore, trovo sempre qualcosa di buono in quello che scrivono gli altri…