di Zena Roncada
Mi si è scolorita la tastiera. Mi sono morte lentamente la ‘n’, la ‘m’ e la ‘l’.
Questo getta ombre sinistre sulla mia scrittura (vagamente sbiancante: toglie colore? scioglie le lettere, specie quelle liquide, effetto candeggina?).
Vero è che la faccenda mette in cattiva luce anche le tastiere.
Ne parlavo per lettera a un amico, tempo fa: le tastiere, bisogna avere il coraggio di dirlo, hanno cattivo carattere.
Abituate a stare in basso (rispetto al monitor), secondo me coltivano complessi di inferiorità che le rendono vendicative.
Le tastiere più altezzose sono legnose e accompagnano il movimento delle mani con un ticchettìo lievemente tedesco. Ne escono scritture segaligne, che sembrano aver fatto le scuole in certi austeri collegi nordici.
Le tastiere più sensibili schizzano subito: silenziose e operose, sembrano pattini. Vuoi scrivere una ‘g’? In rapida successione fanno fitto sul monitor anche una ‘f’ e una ‘h’ . I tasti si muovono con la forza dei pensieri. Ne escono scritture ubertose, coi pampini e le foglie, docili alle idee.
Le tastiere più bugiarde, invece, hanno i tasti falsamente morbidi e retrattili, in realtà affondano solo per prendere la spinta sufficiente a creare un molleggio terribile, che assomiglia al beccheggio di certe imbarcazioni, portatore di mal di mare. Ne escono scritture vibratili ed emotive, dal sapore tremulo e ottocentesco.
Un caso a parte sono le tastiere come la mia: hanno dei momenti di auto-esaltazione che alternano ad altri di depressione.
Premi un tasto e quello si rigenera: batte le ciglia e scrive tre, quattro volte la stessa lettera, come se dicesse ‘Visto che efficienza?’. Poi si sgonfia come una vescica e ti lascia intendere che è esaurito: si blocca perché si sente un tasto doloroso della tua vita. Lo premi a vuoto, lo senti chiuso nel suo incanto. Tasto autistico.
Tu gli sussurri… “dai, su … vero niente, nel tuo genere sei anche un bel tasto”: se si riprende c’è speranza, altrimenti bisogna pensare ad una protesi.
Il risultato è comunque una scrittura diseguale: a volte un po’ ripetitiva, a volte muta come certe acque troppo quiete.
E ora?
Che scrittura uscirà dai tasti bianchi?
La pagina crepita a nuovi spazi d’indecisione
Zena Roncada è autrice di Margini. Presto con Pentàgora uscirà la raccolta di racconti Le bambine.
Giugno 5, 2019 il 6:00 pm
Spassosissimo! Non avevo mai percepito l’esistenza della tastiera. Tu ne fai un’entità, quasi fosse una penna d’oca, una penna con pennino d’oro. Eppure la tastiera, pure così utile, è quasi desueta: i contemporanei si chinano sul display, intenti a digitare schermi touch, coadiuvati da stupidi completatori di frasi. Stringiamci a coorte, noi tastieristi! Mutuati dall’antica arte dell’organista parrocchiale, solo, sul suo palco, sopra i fedeli.
Giugno 5, 2019 il 9:48 pm
Se ho qualche problema di socializzazione con le tastiere, figuriamoci con gli schermi touch.
Quelli mi fanno morire.
Il dito indice s’impaluda subito, diventa colloso e resta lì, a stampare la sua impronta digitale, soprattutto sul telefonino…
Capitolo a parte, ma non meno inquietante, è quello dei correttori.
Non si limitano a completare in modo impertinente, ma ingaggiano una vera battaglia contro la volontà di chi scrive. E vincono sempre loro.
Grazie per la solidarietà, Alessandro!
zena
Giugno 9, 2019 il 9:37 am
Ovvero, come una tastiera scolorita, la sua, finì per rendere colorata la mia (che pure è molto scolorita, più che per le offese del tempo, per l’uso diuturno.. e, spesso, pure notturno)…
Una lettura leggera, divertente ma profonda e sempre di classe.
Vero: la tastiera è desueta (come gli ingombranti desktop, che la pretendono, come una protesi, con quello “scatolone” che ruba spazio sopra o sotto la scrivania… ora tutti, invece, privilegiano il laptop, portatile, o meglio ancora il tablet, che della cara vecchia tastiera non hanno necessità.
Per non parlare degli invadenti onnipresenti cell, che ormai servono a tutto tranne che a telefonare… che la tastiera l’hanno ridotta a livelli miscroscopici, complicando la vita a chi ci vede poco e a chi, per annoso lavoro manuale, ha dita come nodosi rami di quercia e, con un sol tocco, premono sei tasti insieme!)
Per assurdo, i “tastini” del telefonino (!) hanno ridato senso alla parola: tastare, andare a tastoni, a tentoni.
Tu premi i tastini e non sai mai cosa verrà davvero fuori; ci provi, appunto, a concretizzare una certa parola ma… ne esce un’altra! E magari il correttore, convinto di sapere cos’hai nella testa, te la cambia pure, con una che neanche avevi nell’anticamera.
Il tutto, fra “cancella e correggi”, comporta il triplo del tempo; se uno rilegge, però, perchè spesso, se non si fa attenzione, partono “tweet” che, nella migliore delle ipotesi, farebbero inorridire una maestra delle elementari. Nella peggiore, neanche si capisce il senso.
Morale: sarà anche scolorita, coperta di polvere e con tracce di grasso polpastrellare (la mia, eh… parlo della mia), ma teniamoci cara la vecchia tastiera, senza la quale forse avrei scritto roba incomprensibile al posto di questo commento (ma magari sarebbe stato meglio?).
Giugno 9, 2019 il 7:14 pm
Ben gentile, Maurizio!
Grazie, ça va sans dire.
Però va presa in considerazione l’dea di un movimento (almeno di pensiero) contro l’egemonia dei correttori autonomi.
Teniamoci le tastiere, intanto: a onor del vero, la mia, l’ho cambiata, però non ho avuto cuore di gettare la vecchia.
Giace, insieme alla precedente, che, a sua volta non è stata rottamata, ma solo dismessa … e impilata sopra uno scanner fuori uso.
Se continuo così, avrò bisogno di un rifugio per pezzi di pc in pensione.
Si provvederà.
🙂