In Resistere non serve a niente Walter non è che lo scrittore ormai noto a cui il protagonista del libro chiede di raccontare la propria storia, e ha pochissime pagine tutte per sé. Il punto estremo di aggressione al narcisismo del personaggio Walter è in Bruciare tutto, il romanzo sul prete pedofilo, dove è presente solo in un minuscolo cammeo (alla Hitchcock) senza che per altro venga fatto il suo nome, mentre le note sono a cura del Siti narratore.
Ma non era questo il punto, lo sapevo; il punto era che dicendo “io” mi autoescludevo dalle pulsioni che “io” non poteva sapere perché appartenevano al territorio del suo inconscio. “Io” mi tagliava fuori dall’Es. Alcune cose che serpeggiavano in profondità (la pedofilia appunto, il sadomasochismo, il matricidio) non avrei mai potuto raccontarle in prima persona perché non ne ho mai fatto esperienza.
Da lì è nata l’idea degli stuntmen, cioè delle controfigure che recitassero per me le scene pericolose; un po’ come Alfonso Nitti in Una vita di Italo Svevo, che si suicida al posto del suo autore. È la tecnica che ho usato per Bruciare tutto, per le scene del locale sadomaso in Autopsia e soprattutto per La natura è innocente, dove Walter ritorna soltanto per accorgersi che le due vite apparentemente così diverse che ha raccontato non sono che due aspetti complementari della propria nevrosi. È, credo, la tecnica che userò anche nel mio ultimo romanzo, I figli sono finiti, in cui il settantacinquenne Augusto che fa amicizia con un ventenne hikikomori sarà l’estrema delle mie controfigure.
Da dove deriva questa mia incapacità di staccarmi da me, oggettivandomi in trame di fantasia lungo il meraviglioso sentiero di Ulisse, di Sindbad il marinaio, di Lancillotto, di Pinocchio, di Alice, di Vautrin? Per due mancanze, direi, soprattutto: la prima è che da bambino mi sono mancate le favole, ero troppo concentrato sulle mie angosce, il governo di cui ero sede non aveva un ministero degli esteri; la seconda è il nessun interesse per la Storia, questo capitale dei padroni. Io posso raccontare soltanto il presente, o al massimo gli ultimi settant’anni a cui ho assistito.
Dunque sono condannato a stare chiuso nella mia bolla, parlando delle donne solo quando sono malate o mutilate, pestando il grano delle mie impotenze e dei miei misticismi un tanto al chilo? Ho ancora fiducia in quella che all’inizio avevo chiamato la mia “mossa cartesiana”, cioè capire l’ignoto a partire dall’unica cosa di cui sono sicuro, la mia inquietudine. Si tratta di raffinare il metodo degli stuntmen, fare in modo che essi rappresentino sempre meno la mia psiche ormai incartapecorita e sempre di più lo spirito dei tempi, fiutando l’architettura dell’oggi.
L’autofiction necessita di una visione da lontano: è il contrario dell’immediatezza dei social. E non deve aver paura di concentrarsi sul privato anche in tempi storici di emergenza, quando ogni sguardo al proprio ombelico può passare per diserzione.
nodi storici di più lungo periodo hanno la loro radice in ciò che ribolle dentro ognuno di noi, e viceversa (Marx e Engels avevano ragione soltanto a metà). Parlare dei disastri della cronaca può diventare una fuga. Quanto della storia mondiale dipende dalla smania di possedere e dal desiderio di competere, dall’erotomania e dall’invidia? Quanto la pigrizia e il conservatorismo stanno accelerando l’estinzione della nostra specie? L’egotismo e la voracità sono frutti del capitalismo o della natura umana? L’autofiction può essere politica quanto la fantascienza o il romanzo sociale. |
Agosto 23, 2022 il 11:00 am
Grazie Massimo
Non ho letto i libri di Walter Siti ma dopo questo articolo devo rimediare.
Agosto 23, 2022 il 3:42 pm
Siti è di intelligenza e profondità stratosferiche. Mi incanta come saggista, conferenziere, anche se lo vorrei un pò più fruibile. Come romanziere, (posso essere sincera perché lui lo è) lo leggo a fatica e anche con un pò di noia. Sicuramente sono i miei limiti a impedirmi di apprezzarlo.