di Massimo Angelini
… e con la voce dare corpo a un testo
Avere imparato a scrivere a scuola certamente non basta per essere ‘scrittori’ (anche se alcuni, bontà loro, lo credono), ed è facile capire che tra conoscere la tecnica della scrittura e conoscerne l’arte scorrono corsi d’acqua larghi e profondi, e che avere scritto pensieri, temi scolastici, ricerche, poesie giovanili (ma anche senili), relazioni di lavoro e tesi di laurea non abilita, di per sé, a pubblicare nulla… Meno facile da capire è che non basta avere imparato a leggere (a scuola), né rispettare la punteggiatura e gli accenti, per sapere leggere ad alta voce in pubblico, perché leggere bene è tecnica tutt’altro che semplice, ed è arte che richiede apprendimento e impone un po’ di fatica.
E’ piuttosto raro sentir leggere bene. Nella mia esperienza, i più compitano con la voce quello che leggono con gli occhi e spesso lo fanno in modo piatto, con tono e ritmo uniforme, forse con la preoccupazione di star dietro alla punteggiatura e non perdere il segno, e talvolta mi capita di sentir leggere qualunque cosa (comprese la passione di Cristo, l’Infinito e I racconti della Kolyma) con un’andatura da trenino, come si fa con le filastrocche. Insomma, tutto diventa uguale: testi sacri, drammatici, divertenti, pensieri di straordinaria profondità o banalità imbarazzante, barzellette, ricette di cucina, dialoghi, descrizioni di viaggio, declamazioni o riflessioni tra sé e sé: stessa cadenza, stessa noia, stessa piattezza: una parola via l’altra, oppure – capita di sentire anche questo – con enfasi di altri tempi, fino ai limiti del grottesco.
Non sfuggono a questi risultati alcuni bravi scrittori quando – senza le cautele del saper fare – s’impegnano a leggere da sé i brani che loro stessi hanno scritto: magari pagine bellissime sulla carta, ma a voce trasformate in tiritere senza vita e senza sale, sciare come recite da fine scuola, avvincenti come i bugiardini dei farmaci.
‘Ma come – ti dicono – l’ho scritto io! Saprò ben leggerlo?!’
‘Forse sì o forse no… Avere scritto un testo (magari bellissimo) non vuole dire che sai anche leggerlo in pubblico, perché leggere bene richiede tanta tecnica’.
E non c’è niente da fare! durante una presentazione, un brano letto piatto o con quel tanto che basta per non inciampare tra una parola e l’altra talvolta non aiuta ad apprezzare la bellezza del testo e quel libro, alla fine dei conti, vende meno di quanto potrebbe. Insomma, leggere bene è come stendere una ragnatela per catturare l’attenzione e sedurre chi ascolta.
E cosa vuol dire leggere bene ad alta voce? Credo che per capirlo basterebbe ascoltare qualche puntata della trasmissione radiofonica giusto intitolata Ad alta voce, oppure qualche audiolibro.
Si obietterà: ‘Ma non siamo mica tutti attori’, oppure ‘Senti, io leggo come posso’, oppure ‘Beh, l’importante è che si capisca’.
Tutto vero, tutto vero, ma su quest’ultima obiezione (che mi è stata posta) avrei qualche dubbio, perché dubito che leggere parola dopo parola e frase dopo frase nel modo come si contano gli anelli di una catena aiuti a capire di cosa parla un libro e come ne parla. Però – mi verrebbe da dire – se non puoi fare di meglio, se non sai a chi affidare la lettura, prova almeno ad adottare qualche cautela; al limite, se non ti senti sicuro, valuta anche la possibilità di non leggere affatto: la presentazione non ne risentirà, anzi…
Ora condivido ciò che credo sia necessario per leggere bene. Va da sé che è solo un’opinione: altri diranno di più, diverso e meglio.
In estrema sintesi, suggerirei di…
- prepararsi le letture a casa e percorrere i testi per conoscerne le difficoltà, gli ostacoli, la dizione corretta delle parole nuove, le trappole nascoste nella punteggiatura… soprattutto per capirne appieno il contenuto;
- durante la lettura pubblica, non tenere gli occhi incollati sul testo; al contrario, sarebbe preferibile guardare il pubblico, proprio come se si stesse raccontando sul momento ciò che in realtà si sta leggendo. Questo implica – tecnica raffinata – che con un colpo d’occhio si dovrebbe “fotografare” non solo ciò che si sta per leggere, ma anche le parole che immediatamente seguiranno;
- poiché leggere bene in pubblico è come fare proprio il testo che si ha di fronte agli occhi, come se fossero parole appena pensate e sul momento raccontate ad altri, allora è necessario lasciare tra un pensiero e l’altro (talvolta tra una parola e quella successiva), pause più o meno brevi, anche per dare modo e tempo a chi ascolta di entrare e restare nella storia che gli si sta raccontando;
- evitare tanto la piattezza del racconto quanto l’enfasi e tutto quanto malodori di forzatura, retorica e finzione;
- accordare la lettura all’argomento, evitando di leggere ciò che è drammatico coi toni della favoletta, ciò che è vivace come l’elenco della spesa, ciò che è profondo come una filastrocca, modulando i modi, i ritmi, i timbri, le pause e, quando sia necessario, anche i silenzi;
- ultimo ma non ultimo: pensare il contenuto di ciò che si sta leggendo proprio mentre lo si legge; cioè, essere dentro la storia che si narra e, comunque, ricordarsi che non si legge per sé, per sentire la propria voce, perché leggere in pubblico è un atto relazionale.
Tutto questo, lo capiamo, non è affatto semplice e, per certi aspetti, è anche faticoso! Richiede tecnica, allenamento, non s’improvvisa; richiede un certo controllo della respirazione, una dizione chiara, una voce che non resti in gola ma che faccia ponte verso gli altri e li coinvolga; richiede un po’ di memoria visiva per “fotografare” ciò che si leggerà con gli occhi rivolti al pubblico; dunque richiede un po’ di autocontrollo, ma anche capacità di immedesimarsi nel testo che si racconta (come – ripeto – se fossero parole proprie, scaturite lì per lì).
Insomma, per leggere in pubblico servirebbe un po’ di cautela: certamente un po’ di tecnica e, per farlo bene bene, un po’ di arte.
Proprio… come scrivere per pubblicare :>
Giugno 13, 2019 il 11:04 am
…quanto mi manca, questo Lettore…