Walter Siti ha dato alle stampe il suo ultimo scritto: “Contro l’impegno”.
L’autore fa notare come la letteratura si sia progressivamente spianata sul bello, sul buono, sull’onesto. Oggi, prima di essere letteratura, l’opera deve rispondere a precisi requisiti: deve essere edificante, cioè proporre una serie di modelli morali cui ispirarsi e deve essere rispettosa di minoranze o differenze.
Naturalmente Siti non dice solo questo, ma approfondisce tutti gli aspetti in circa 270 pagine.
Non sarò onesto, ma prendo solo questo primo enunciato per mia bieca comodità e mi permetto di osservare.
Osservare che la letteratura, ha ragione Siti, non è mai stata SOLO edificante. Anzi: io, poi che ascrivo alla letteratura anche le favole che mia nonna mi raccontava da bimbo, ricordo che si parlava spesso di sfruttati e sfruttatori, e i primi non erano meno crudeli, corrotti o insani degli sfruttatori. Ricordo bambini chiusi o reclusi o incantati o incatenati. Ricordo lupi famelici mangiare vivi grandi e piccini. Ricordo anche (orrore) bambini cacciare nel forno acceso la vecchia strega, arderla viva per liberarsi.
Torme di psicanalisti si saranno gettati a pesce sul significato di certi atti. Altrettanti sociologi si saranno occupati delle questione. Forse criminologi. Ognuno ha dato la sua spiegazione assai scientifica.
A me basta fermarmi un poco prima: le storie, tutte le storie (orali, scritte, disegnate, bisbigliate) devono essere avvincenti. Bisogna che ti facciano venire voglia di sapere il seguito, di stare lì, a bocca aperta, a gustarti quel mondo che non sai e non t’importa neppure sia vero o falso. Se la tensione sale lungo tutta la storia, allora bisogna arrivare a un punto in cui Achille trascina Ettore morto dietro al carro, facendone scempio, proprio sotto gli occhi del padre. Bisogna arrivare al truculento: alla vecchia nel forno, al ventre lacerato, al particolare sconcertante: macabro, osceno, terrificante, rivoltante anche. E spesso, in questi particolari, non c’è nulla di edificante, moralmente corretto, giusto.
È opportuno che gli specialisti dicano, per sé e per noi, a cosa servano psicologicamente, socialmente, giuridicamente, questi punti nefasti. Noi, come lettori e fruitori di storie, sappiamo che i cattivi, le cose sbagliate e immorali, sono quelle che più ci divertono: il panorama finale al termine di una dura salita in montagna; le stelle riviste, dopo tanta pena.
Se non altro impareremo l’abiezione e l’estasi, e ne prenderemo debite distanze.
Quello che ci manca è la realtà, sempre di più. Se mia nonna, recitatrice instancabile di favole più o meno truci, aveva vissuto sulla pelle e nella carne la fatica, la fame, il dolore, l’ignoranza afasica davanti al potere, un marito quasi imposto, dei figli avuti con dolore e vergogna, una vecchiaia lunga, cominciata troppo presto, se mia nonna è stata tutto questo, ha avuto contezza di queste singole evidenze e sapeva misurare quanto bruciasse il fuoco del forno, il sole a picco, l’acqua gelida del fiume, il pianto notturno dei lattanti e dei morituri, ecco, lei aveva fatto esperienza di queste cose in modo diretto e sapeva il senso delle parole che usava.
Oggi fortunatamente abbiamo alleggerito le nostre esistenze, molte delle sofferenze che lei ha provato sono a noi sconosciute. Però siamo diventati deboli e non conosciamo più la nostra forza, e il senso delle parole che usiamo.
Eppure ci divertiamo a vedere film in cui avvengono fatti truci, con personaggi detestabili. Oppure sempre più videogiochi, verosimili, violenti, immorali.
Ecco, allora forse è cambiato il mezzo: la letteratura (anche quella orale) possedeva in sé l’antidoto, aveva con sé una barriera tra la realtà e il truce racconto. Il film, il videogioco, hanno perso questa barriera: non puoi immaginarti il lupo che mangia la nonna; Sandokan che sbudella 100 nemici; la fiocina di Queequeg trapassare una balena e immaginare gli schizzi di sangue nella rossa schiuma.
Il film, l’animazione, sono così ben fatti che “sembrano veri”. È la fine dell’immaginazione, e di quella barriera che ci consentiva di fruire delle storie altrui senza restarne scarnificati.
E dunque: la realtà non è più cruda e la barriera è caduta. La conclusione è che la letteratura non serve più. Almeno alla massa e almeno se non trova nuove strade da percorrere, nuovi linguaggi, temi, legami con la realtà.
Maggio 22, 2021 il 6:55 pm
Terribilmente vero quello che scrivi. Voler spaccare sempre il capello in due, da parte degli psicologi, confonde, ma non impedisce di farci assistere altrove a situazioni anche peggiori di quei significati attribuiti alle antiche favole. Un black out mediatico di almeno un mese potrebbe aiutare?
Maggio 22, 2021 il 7:05 pm
Forse… un black out… ma non credo si possa far nulla. Grazie Franca.
Maggio 22, 2021 il 10:10 pm
Non so perché, ma mi hai fatto venire in mente due racconti di Mark Twain, le storie del bambino buono e del bambino cattivo. Hanno una morale alla rovescio: non solo comportarsi male non è riprovevole, ma porta al successo, mentre resistere agli istinti e comportarsi bene conduce alla rovina e al discredito sociale.
Probabilmente una letteratura conforme alla grande ipocrisia di questi tempi trova più facilmente possibilità di pubblicazione.
Maggio 23, 2021 il 7:12 am
Forse il nocciolo è quello: sono tempi ipocriti, nel senso che conta sempre di più la confezione che il contenuto; la copertina del libro; la cornice del quadro…
Maggio 22, 2021 il 7:26 pm
E’ bella questa riflessione. Per tanta parte – dove so capire – condivisibile. Da una parte il politicamente-corretto, anzi il letterariamente-corretto, che segue un canone socialmente accettabile, il buono-pulito-giusto (Petrini prossimo nobel per la letteratura), dall’altra parte – ed è lo stesso conformismo che troviamo in tante delle proposte che ci arrivano dagli autori (non dalle autrici) più giovani – anche un certo truculento-splatter-sboccato a tutti i costi, e una narrazione che per volersi reale che più reale non si può diventa pornobuzzurra fino alla coprolalia.
E’ un problema il conformismo, la posa borghese (anche la contestazione e lo scandalo a tutti i costi le sento come una forma di moralismo borghese), la voglia di piacere con formule facili e collaudate. Anche in letteratura.
Maggio 23, 2021 il 7:15 am
Metti a fuoco un altro aspetto: l’urgenza del riscontro positivo, la necessità di piacere a tutti i costi, subito, proprio con lo stesso meccanismo dei social, per cui vale il ‘like’ messo subito, vale avere tanti ‘like’, e alcuni sono disposti a sfigurare pur di essere approvati.
‘Pornobuzzurra fino alla coprolalia’ mi piace molto. Me la segno.
Maggio 23, 2021 il 8:48 pm
Molto interessante. Sarei curioso di sapere se esista un legame tra questa tendenza “educativa” della narrativa e il fatto che i principali consumatori di libri siano ormai i bambini. E noi i bambini mica li possiamo spaventare con orchi streghe e lupi cattivi. Così si spiega anche perché poi da quattordici anni in avanti, non trovando più nulla che li soddisfi, cominciano a guardare, leggere (forse) e scrivere roba pesante che giustamente Massimo etichetta come pornobuzzurrismo splatter.
Maggio 24, 2021 il 7:33 am
Sono una grande appassionata di thriller, specie quelli dove la scena di sangue viene analizzata con il lanternino. Perciò dovrei “averci fatto il callo”, essermi abituata. Credo invece che nemmeno la letteratura più cruda possa prepararci alle brutture della realtà. Ci illudiamo, forse, di essere pronti, perché abbiamo letto tanto, al riparo della nostra bolla. Quando però un fatto particolarmente truce ci tocca da vicino, ci rendiamo conto di non esserlo affatto. Per questo motivo leggiamo avidamente di carneficine, mentre quando accadono davvero tendiamo a dimenticarle presto, a giustificarle, ad attenuare le reazioni, specie se riguardano luoghi distanti da noi, anestetizziamo le emozioni, anche, perché non riusciremmo a superare il dolore, nel momento in cui dovessimo interiorizzarle.
Maggio 26, 2021 il 4:38 pm
Bisognerebbe intendersi sul termine “edificante”. Se lo scrittore ha scritto il libro per darci in modo chiaro i sentieri da percorrere per la nostra vita, beh, è uno scrittore volenteroso, ingenuo -anche se non sembra- e mi fa tenerezza. Probabilmente ha letto poco. Se ha scritto per raccontare il suo sentiero o i sentieri intravisti, beh, lo ringrazio: mi possono servire e posso esplorarli anch’io. Ogni libro mi dà qualcosa: anche quello che alla prima pagina capisci che non contiene una sola parola scritta con finezza; beh, mi fa apprezzare maggiormente gli altri, diventa il termine minimo del mio metro interno. La letteratura è, mi pare, nel complesso edificante per l’atto, il rito, che richiede. Scegliere il libro, il luogo e il momento giusto per aprirlo, fermarsi in uno spazio altro, intimo, fatto di mente emozioni e corpo, e stare lì, dimentichi del resto, richiudere il libro alla pagina che senti giusta, quella in cui senti che è ora di alzarsi e riprendere i gesti del quotidiano, ora rinnovato. Il lettore oggi deve farsi più attento, fingersi un cercatore d’oro e setacciare la sabbia; le pietruzze brillanti ci sono, c’è un indizio che ne tradisce la presenza, la loro bellezza sa di miracolo.
Maggio 27, 2021 il 5:24 pm
Non è che me ne capisca tanto di queste cose. Io scrivo “letteratura” anche (suppongo) perchè non ci acchiappo nei discorsi “sulla” letteratura. Un po’ come uno che va a donne ma ignora la ginecologia anzi, tutto l’ apparato interioresco gli mette una certa angoscia. Il critico anche fa “letteratura”, lo sappiamo, ma è la letteratura che fa il critico. Un genere nel quale ci sono tanti generi di critica. Come per i gialli e per i libri d’ avventura. Per cui: non so. Non so, per esempio, se questi siano tempi grami, più grami di altri. O se invece siano tempi generosi che danno a molti la possibilità di fare un libro. Che magari, pur uscendo con Rumpi e Streppa Editori, o con Ed. Scappati di casa fa una sua strada, magari rionale, magari di montagna o trac, ecco il botto: lo legge un prof universitario che conosce un critico che scrive una recensione che la legge una giornalista che mette su un paginone e boh. Cosa deve fare un libro? Lasciarsi leggere? Sì e no. Prendiamo L’ uomo senza qualità. Belìn. O hai una raccomandazione di ferro o manco Rumpi e Streppa te lo prende. Quindi L’ uomo senza qualità che leggerlo significa penare non è un libro leggibile. Eppure è un gran libro. Un libro immenso. Conformismo e anticonformismo. Credo che ci possano leggere grandi libri conformisti e grandi libri anticonformisti. Paolo Nori ha scritto un bel libro su Dostoevskij (con la scusa di Dostoevskij). Se mi avessero detto che avrei letto Paolo Nori e mi sarebbe piaciuto avrei fatto no con la testa. Non avevo mai letto Paolo Nori. E non mi piaceva. Invece, cavolo. Resto attaccato a quelle pagine. Che sono ruffiane, anticonformisticamente conformiste, vezzose, furbette e magnifiche. Perchè sono magnifiche. Non lo so. La sensazione è che questo qui abbia tanto da dire che anche se mi parlasse di uno sbadiglio per trecento pagine mi piacerebbe da matti. Mi sa che è tutto un mistero. A me è successa una cosa strana. Io scrivo spesso dei Pliz, il posto in cui ho una casa. Pliz in italiano è per ragioni complicate Peruzzi. Ho scritto dei Pliz su Gioghi di parole e su Stradiario genovese. Bene. Enzo Codogno, Lucietta Garrone che abitano a quattro km di distanza sono venuti a vedere dove erano questi Pliz. E fin qui tutto normale. Il fatto è che è venuta a vedere dove sono i Pliz anche gente che non conosco. Uno, tipo, da Arenzano (o Cogoleto?). E sono cinquanta km. Uno da Rivoli. E sono 150 (credo) km. Una coppia da Nervi. E sono 70 km. Scendevano dalla macchina e chiedevano: “sono qui i Pliz”? La seconda domanda era “è lei Priano?”. Ma era già una domanda meno incuriosita, meno passionale. Come questi sono venute altre due o tre persone. In tre anni. Per l’ amor del cielo. Va più gente a visitare la casa di Dario Bellezza buonanima. Ma di Gabriella Romagnolo scommetto di no. Di Paolo Nori non so. C’ entra questo discorso un po’ pavone con la questione di cui qui si parla? Credo di sì. Uno che scrive deve avere un’ ossessione. E prima o poi trova gente interessata a quell’ ossessione. Ecco. L’ ossessione. Questo segna la diversità tra chi deve scrivere e chi vuole scrivere. E gli editori? Eh. Credo dovrebbero avere l’ ossessione per i libri.
Giugno 1, 2021 il 8:47 am
Gianni, questo è un posto giusto per parlare di letteratura, per contaminare idee sulla letteratura e intorno a lei confondere le nostre passioni. Continua, per favore, a darci le tue pavonesche, sbrodolate, (fintroppo) compiaciute, immodeste, gigionesche impressioni. Sono irritanti e belle: non tenerle per te! Questa stanza è anche tua, e lo sai.
Un sorriso
Giugno 3, 2021 il 11:41 pm
Pavoneggiarsi fino allo schifo è un grande esercizio di umiltà, quasi un’ ascesi. E questo mi fa girare le balle perchè io odio gli asceti e amo i profeti.