La revisione editoriale è un agito delicato, i cui confini non li saprei tracciare: ne abbiamo parlato in comunità editoriale nel corso di tre incontri svolti su Zoom. I rischi sono evidenti: snaturare un testo per trama e composizione; sovrapporre la sensibilità dell’editor a quella dell’autrice; appiattire lo stile sulla grammatica formale.
Mi soffermo su questo punto e mi chiedo quando e quanto sia lecito per l’editor inforcare gli occhiali da maestrino e correggere un testo fino a normalizzarlo, appiattirlo, renderlo anemico, benché sintatticamente inappuntabile.
In questi mesi ho rivisto il lavoro di un’autrice che ha qualcosa da raccontare (non voglia di raccontare o raccontare la propria voglia di raccontare!), che scrive come parla, con gli intercalari e i salti e i rafforzamenti propri dell’oralità della sua terra e della sua storia personale. Vediamo un esempio:
‘Io non mi ci vedo mica a far di quelle robe, che quando ti ci infili dentro… poi hai voglia di uscirne!’.
Un editor potrebbe, per esempio, suggerire così:
‘Non mi ritengo adatto per quelle azioni: chi accetta di compierle, difficilmente riuscirà, poi, a sottrarsi’.
Sintatticamente corretto, letterariamente sterilizzato. Ha senso?
[un inciso: ‘hai voglia’ qui non significa ‘provi un vivo desiderio’, ma è un’esclamazione, come ‘figurati!’]
(immagine da facebook/romeismore)
Giugno 30, 2021 il 10:18 am
con l’articolo che hai appena pubblicato hai toccato un vero punto nevralgico,
La poetica di un testo, molte volte, è infrattata dentro a quelli che potrebbero essere interpretati come errori.
E’ per questo che non ho mai provato a dare il mio contributo ai testi di narrativa. Sono delicatissimi, basta spostare una virgola e il misfatto è compiuto. Penso che il lavoro di si revisione, in questi casi, si debba accettare solo se si è completamente avvolti dalla poetica dell’autrice. Ancor meglio sarebbe conoscerla personalmente, e saperne apprezzare l’idioletto.
Un saluto da Valentina
Giugno 30, 2021 il 2:43 pm
Grazie Valentina.
L’indicazione di metodo che suggerisce l’importanza di un incontro diretto e di un dialogo vivo con l’autice/autore è preziosa e condivisibile.
Giugno 30, 2021 il 10:27 am
Condivido!
Giugno 30, 2021 il 1:36 pm
Condivido. E credo proprio non sia lecito per l’editor di normalizzare un testo, ma sia indispensabile invece di comprendere il suo specifico respiro e di sintonizzarsi con lui.
Tuttavia, non sempre è stile come uno parla e neppure come uno scrive. A volte semplicemente qualcosa è scritto come è venuto e anche se fosse scritto come si parla (e quindi autentico) non è ancora detto che si parli sempre in modo efficace, almeno per chi ascolta.
Quindi proporrei un editing attento e sensibile che non tolga nulla a quanto un autore sappia raccontare, anzi; lo liberi, lo affini, certamente non lo appiattisca come nell’esempio sopra, che trasforma una frase vitale e non priva di batteri in una comunicazione ripulita. Cosa dite, almeno nel mondo delle parole possiamo fare a meno del disinfettante ?
Giugno 30, 2021 il 2:41 pm
Sì, sono del tutto d’accordo.
Non sempre si riesce facilmente a riconoscere lo stile autoriale (che in sé credo sia sempre legato a una matrice matura e consapevole), e distinguerlo dalle abitudini narrative, dagli automatismi lessicali, dal semplice riversamento della lingua parlata, dai pregiudizi sintattici; in altre parole, da un adeguamento inerte, quasi passivo, a modelli letterari ai quali non si è profondamente e consapevolmente aderito.
Quanto al disinfettante… se possibile, facciamone un pochino – giusto un pochino – a meno anche nella vita 🙂
Giugno 30, 2021 il 1:54 pm
Agito? Per ambito? Non so perché ho questa condanna di fare sempre la maestrina, apro i libri a caso e becco un typo così dicono là fuori. Mandi da un assolato sonnacchioso Friuli. maddalena
Giugno 30, 2021 il 2:27 pm
Buongiorno Maddalena, non desideravo scrivere ambito, ma proprio agito (da leggere ‘agìto’).
So bene che agito è un sostantivo poco frequente nel linguaggio quotidiano; peraltro è piuttosto comune in alcuni ambiti, come quello psicoterapeutico.
Pur mantenendo il significato generico di atto, agito è connotato da una sfumatura specifica che dà rilievo sia al piano razionale sia a quello emozionale. Ed è proprio perché nella revisione editoriale metto in gioco in misura importante anche la mia parte emotiva e, verso l’autore/autrice, l’empatia di cui sono capace, che ho preferito questa parola al posto di attività, impegno, compito… o altre più consuete (e meno incespicanti).
Grazie per l’osservazione.
Luglio 1, 2021 il 8:21 pm
I perfettini mi sanno sempre di scrittura tecnico/creativa. Ogni tanto è bello leggere come si mangia
Luglio 4, 2021 il 12:11 pm
Condivido in pieno, e mi ritrovo anche molto nelle parole di Esther. Quanto al disinfettante, usiamone meno in tutti gli ambiti, ottimo suggerimento!